Un pensionato può davvero rientrare nella pubblica amministrazione per affiancare i nuovi assunti? Una recente decisione ha aperto uno scenario inaspettato. Non parliamo di un’eccezione qualunque, ma di un possibile cambio di passo per moltissimi enti locali.
Una svolta che, partita da un piccolo Comune, potrebbe cambiare il modo in cui si valorizza l’esperienza nella PA. Ma attenzione: i paletti sono chiari. E non si lascia spazio a improvvisazioni.
Immagina Marco (nome di fantasia) un ex dipendente pubblico, con una lunga carriera alle spalle, che non ha ancora del tutto messo da parte la voglia di contribuire. Dall’altra parte, un’amministrazione alle prese con nuove assunzioni, inesperienza e poco tempo per formare il personale. Da qui nasce una domanda legittima: si può affidare a chi è già in pensione il compito di trasmettere ciò che sa?
Questa è la domanda che un sindaco del Molise ha rivolto alla Corte dei Conti. E la risposta, arrivata con la deliberazione n. 34 del 4 marzo 2025, ha sorpreso molti. Non si tratta di un via libera indiscriminato, ma di un’apertura ragionata, che tiene conto della legge e delle esigenze concrete degli enti pubblici.
Secondo la Corte dei Conti del Molise con delibera n. 34 del 4 marzo 2025, è ammissibile incaricare un pensionato nella pubblica amministrazione per attività di affiancamento e supporto, purché ci siano condizioni molto precise. L’ex dipendente non deve assumere ruoli gestionali, non può prendere decisioni operative e il suo incarico deve essere temporaneo e ben motivato. Deve limitarsi a trasferire competenze a chi è appena entrato, in un’ottica di continuità e formazione.
La normativa di riferimento è quella prevista dall’articolo 5, comma 9, del D.L. 95/2012, che vieta incarichi di consulenza e dirigenza a pensionati nella PA. Ma esiste anche un’apertura nell’articolo 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001, che consente incarichi individuali in casi eccezionali e con adeguata motivazione. Ed è proprio in questo spazio che si inserisce la pronuncia della Corte molisana.
Non si tratta di un caso isolato. Ad esempio, la Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Basilicata, nella deliberazione n. 62/2023/PAR, ha esaminato la possibilità di conferire incarichi retribuiti a personale in quiescenza per attività di formazione e affiancamento ai neoassunti. La Corte ha stabilito che tali incarichi sono ammissibili, purché siano esclusivamente temporanei, non configurino ruoli operativi o dirigenziali e rispettino la normativa vigente. Anche in quel caso, la finalità era quella di valorizzare il patrimonio di competenze del personale in quiescenza, senza sostituire strutturalmente le figure in servizio.
Simili pronunce sono arrivate anche da altre sezioni regionali, come in Lombardia e Toscana, confermando un orientamento giurisprudenziale che tende a riconoscere la possibilità di incarichi mirati ai pensionati, purché ben circoscritti e trasparenti.
Quello che emerge è un principio interessante: la memoria storica degli uffici pubblici può essere una risorsa, ma non deve diventare un ostacolo al rinnovamento. Aprire ai pensionati in questo modo significa riconoscere il valore dell’esperienza, ma anche tracciare limiti chiari per evitare abusi.
Le amministrazioni che scelgono questa strada devono agire con trasparenza, rispettare le procedure selettive e motivare bene ogni incarico. Il rischio è quello di vedere svanire l’obiettivo della norma: garantire un reale ricambio generazionale nella pubblica amministrazione, senza aggirare le regole con rientri camuffati.
E allora la domanda rimane aperta: si può davvero trovare un equilibrio tra passato e futuro nella gestione del personale pubblico?
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