La Federal Reserve osserva con attenzione il mercato obbligazionario, mentre il dollaro si indebolisce e gli investitori guardano altrove. Le parole di Neel Kashkari, presidente della Fed di Minneapolis, aprono un dibattito sulle reali condizioni del sistema finanziario americano e sulle aspettative di politica monetaria nel breve termine.
Ogni parola pronunciata da un membro della Federal Reserve è in grado di influenzare i mercati finanziari globali. Ma quando si tratta di dichiarazioni che arrivano in un contesto di rendimenti in salita e valute in discesa, l’eco è ancora più forte. È il caso delle recenti affermazioni di Neel Kashkari, uno dei volti più attivi e schietti all’interno del board della Fed. In un’intervista rilasciata l’11 aprile 2025, Kashkari ha messo in evidenza come il movimento dei rendimenti dei Treasury e l’indebolimento del dollaro possano essere letti come un segnale: gli investitori stanno iniziando a guardare oltre gli Stati Uniti.
La frase non è passata inosservata. Anzi, ha rinfocolato le speculazioni sulla direzione futura dei tassi e sulla tenuta dell’attrattività del mercato americano in un periodo di instabilità globale. Ma cosa sta succedendo davvero? E perché queste dinamiche preoccupano la banca centrale statunitense?
Secondo quanto riportato da Bloomberg, Kashkari ha osservato che, in genere, in momenti di forte tensione economica ci si aspetterebbe un rafforzamento del dollaro, per via del suo ruolo tradizionale di “bene rifugio”. Tuttavia, l’attuale debolezza della valuta statunitense, combinata con un rialzo dei rendimenti obbligazionari, suggerisce un fenomeno diverso: una graduale perdita di fiducia negli asset americani. A confermarlo è anche un’analisi pubblicata da Reuters, secondo cui alcuni flussi si starebbero spostando verso mercati emergenti e bond sovrani europei a breve scadenza.
Nonostante ciò, Kashkari ha escluso l’idea che la Federal Reserve debba intervenire in questo momento. Come ha dichiarato a Bloomberg, “non stiamo osservando dislocazioni così gravi da giustificare un’azione immediata”. L’intervento diretto della Fed sui mercati viene riservato a condizioni eccezionali, e un atteggiamento più passivo viene ritenuto più coerente con l’obiettivo di mantenere credibilità nella lotta contro l’inflazione.
Il messaggio di fondo è chiaro: la Fed osserva ma non agisce, almeno per ora. E questo approccio è coerente con l’analisi di Boston Consulting Group, che stima un’inflazione sopra il 5% e un rischio recessione del 40% per gli Stati Uniti nei prossimi dodici mesi. In questo contesto, l’aumento dei rendimenti dei Treasury può anche essere letto come un aggiustamento tecnico, più che come un campanello d’allarme vero e proprio.
Tuttavia, la combinazione di dollaro debole, rendimenti elevati e incertezza politica (soprattutto sul fronte dei dazi e della politica fiscale) alimenta l’idea che il mercato stia cercando alternative. Non è un caso che il dibattito tra analisti si stia spostando verso una riflessione più ampia sul ruolo globale del dollaro e sul futuro della leadership economica americana.
Le parole di Neel Kashkari, dunque, vanno lette non solo come un’osservazione puntuale, ma come un invito a non dare per scontata la centralità degli Stati Uniti nei portafogli globali. Se gli investitori stanno cercando nuove rotte, sarà il mercato – più che la banca centrale – a indicare la direzione.
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