Una nuova ondata di dazi doganali ha scosso i mercati globali e riacceso i timori di una recessione negli Stati Uniti. Le tariffe annunciate a inizio aprile dal governo Trump stanno già mostrando effetti tangibili, con gli indici azionari in calo e le previsioni economiche riviste al ribasso. Quali saranno le ripercussioni a medio termine? E cosa stanno dicendo davvero i dati?
L’andamento dell’economia globale è spesso guidato da equilibri sottili. Basta una decisione politica per innescare una catena di conseguenze difficili da fermare. E se fino a qualche settimana fa i mercati sembravano navigare con una certa stabilità, oggi il clima è cambiato. L’annuncio, lo scorso 2 aprile, dell’introduzione di nuovi dazi statunitensi su oltre 180 Paesi ha colto molti di sorpresa. Ma non tutti: alcuni analisti avevano già individuato segnali di tensione nei rapporti commerciali internazionali.

Le reazioni sono state immediate: i titoli in borsa hanno perso terreno, le previsioni sul PIL sono state riviste, e il dibattito si è acceso anche oltre oceano. In questo contesto, comprendere davvero cosa sta accadendo diventa fondamentale per chi cerca di anticipare gli scenari futuri. Perché dietro alla parola “dazi” si nasconde molto più che una semplice tassa sulle importazioni: ci sono scelte strategiche, effetti geopolitici e un impatto diretto sulla vita di milioni di persone.
Tariffe aggressive e mercati in allerta
Il 2 aprile 2025, l’amministrazione Trump ha introdotto dazi tra il 10% e il 50% su un’ampia gamma di prodotti importati. I più colpiti? L’Unione Europea, con una tariffa media del 20%, e la Cina, che ha visto le proprie esportazioni verso gli USA colpite da una tariffa del 34 %. Secondo El País, si tratta dell’aumento tariffario più esteso dagli anni Trenta, con effetti immediati: l’indice S&P 500 ha perso oltre il 10% in due giorni, corrispondente a 4,5 trilioni di $ di capitalizzazione svanita.

Il Boston Consulting Group ha stimato un rischio di recessione negli Stati Uniti del 40% entro i prossimi 12 mesi, mentre l’inflazione potrebbe superare il 5% su base annua. Anche la Commissione Europea ha condotto simulazioni: in uno scenario conservativo, il PIL statunitense potrebbe subire una contrazione compresa tra lo 0,8% e l’1,4% entro il 2027. E il commercio globale? Potrebbe ridursi del 7,7%, secondo i dati riportati dal quotidiano svizzero Corriere del Ticino.
Reazioni internazionali e sospensione parziale
Le ripercussioni non si limitano agli USA. L’economia europea potrebbe subire una contrazione dello 0,2%, mentre la Cina ha annunciato contromisure commerciali. A fronte delle critiche internazionali, l’amministrazione americana ha deciso di sospendere temporaneamente i dazi per tre mesi, mantenendo tuttavia una tariffa minima del 10% su tutti i Paesi, esclusa la Cina, per cui il dazio è salito al 104%.
Secondo Bloomberg, la sospensione mira a guadagnare tempo per avviare nuovi tavoli negoziali. Ma l’incertezza resta elevata, e le imprese iniziano già a pianificare cambiamenti nelle catene di approvvigionamento. Il rischio di una nuova guerra commerciale è concreto e, come spiega il report del Boston Consulting Group, le aziende dovranno adattarsi a un contesto meno favorevole, con margini ridotti e volatilità crescente.
Alla luce di questi sviluppi, il concetto di “protezionismo” torna a dominare la scena. Ma oggi, più che mai, ci si interroga su quanto sia sostenibile, nel lungo periodo, una strategia economica basata su tariffe e barriere. E se le risposte tardano ad arrivare, i segnali dai mercati sembrano già dare un giudizio chiaro.