Due sorelle si trovano a fronteggiare una richiesta dell’INPS per somme percepite indebitamente dal padre defunto. Un caso simile e una sentenza della Corte dei Conti offrono una nuova prospettiva. Ecco come la buona fede può fare la differenza per gli eredi.
Ludovica e Antonietta non si aspettavano che la morte del padre, Pietro, potesse portar loro anche una richiesta di pagamento. Un giorno, nella cassetta della posta, è arrivata una comunicazione ufficiale dell’INPS. La richiesta era chiara: dovevano restituire oltre tremila euro che il padre aveva percepito indebitamente negli ultimi anni di pensione.
Un fulmine a ciel sereno, soprattutto perché Pietro era sempre stato una persona corretta, e loro erano convinte che non avesse mai nascosto nulla allo Stato. Eppure, l’INPS sosteneva che c’era stato un errore nella comunicazione dei redditi, o forse un mancato aggiornamento. Le sorelle non avevano idea di cosa fare.
Nel mezzo della confusione, leggendo e confrontandosi con altre persone nella loro stessa situazione, sono venute a conoscenza di una sentenza della Corte dei Conti che riguardava un caso molto simile. E lì è cominciato tutto a cambiare. La scoperta ha riacceso in loro la speranza e la voglia di approfondire per capire se davvero erano obbligate a saldare quel debito, oppure no.
La Corte dei Conti ha affrontato un caso emblematico che ha fatto molto discutere, e che è arrivato fino a Ludovica e Antonietta. Gli eredi di un pensionato si erano visti recapitare una richiesta simile dall’INPS: il padre defunto aveva ricevuto tra il 2012 e il 2014 un’indennità speciale di circa 9.000 euro, ritenuta poi indebita. Il pensionato, prima di morire, aveva già iniziato a restituire la cifra con trattenute mensili sulla pensione.
Dopo la sua morte, però, l’INPS aveva chiesto ai familiari il saldo del residuo. A quel punto, gli eredi si erano opposti e il caso era finito davanti ai giudici contabili. La Corte dei Conti ha chiarito che gli eredi non sono automaticamente responsabili dei debiti del defunto con l’INPS, soprattutto quando il pensionato non ha agito con dolo. In pratica, se non ha truffato volontariamente lo Stato o nascosto dati per ottenere un vantaggio, non c’è alcun obbligo per i successori di pagare.
Questo principio ha dato respiro a molte famiglie. Non basta, infatti, un semplice errore per trasformare un familiare in debitore. Se la somma è stata percepita in buona fede, e non ci sono prove di comportamento fraudolento, gli eredi non devono mettere mano al portafoglio.
Non solo la Corte dei Conti. Anche la Cassazione si è espressa su casi del genere, confermando quanto già detto: la presenza o meno di dolo fa la differenza. In una sentenza importante del 2018, i giudici hanno affermato che le somme indebitamente percepite da un pensionato non possono essere richieste agli eredi se non è dimostrata una volontà fraudolenta del defunto.
In pratica, non si può scaricare tutto sulle spalle di chi resta, senza verificare se chi è venuto a mancare ha effettivamente approfittato del sistema. Accettare l’eredità, certo, comporta anche l’assunzione di eventuali debiti. Ma questi devono essere fondati su basi concrete, non su semplici errori amministrativi o mancate comunicazioni non intenzionali.
Questo orientamento aiuta a fare chiarezza. Se il pensionato ha semplicemente dimenticato di aggiornare il modello RED, o ha commesso un’imprecisione senza malizia, i suoi familiari non possono essere ritenuti responsabili. Si tratta di una questione di giustizia, ma anche di umanità: non è giusto caricare chi ha già subito una perdita, anche del peso di errori burocratici non commessi da loro.
Oggi Ludovica e Antonietta, armate di queste informazioni, hanno deciso di contestare la richiesta dell’INPS.
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