Ti sei mai chiesto cosa succede quando due futuri genitori si trovano a fare i conti con la burocrazia in uno dei momenti più belli (e delicati) della loro vita? Una semplice cifra o una soglia ISEE può fare la differenza tra serenità e frustrazione.
E quando entrano in gioco maternità, paternità, indennità e assegni, il confine tra diritti e ostacoli si fa sottile. L’INPS nel 2025 ha rivisto tutto, ma saperlo in tempo è fondamentale. Una storia come quella di Liliana e Cosimo lo dimostra più di qualsiasi tabella.
Liliana e Cosimo aspettavano il loro primo figlio. Lei aveva appena concluso un contratto a termine, lui lavorava part-time in un negozio. Nessuno dei due navigava nell’oro, ma nemmeno si immaginavano quanto sarebbe stato complicato orientarsi tra le opzioni di sostegno economico. Avevano sentito parlare dell’assegno di maternità, del congedo, di cifre giornaliere, ma senza sapere davvero cosa volesse dire. Quando arrivò il momento di fare domanda, si trovarono di fronte a una valanga di informazioni e sigle. Ogni importo, ogni soglia, ogni modulo poteva cambiare le cose. Cosimo scoprì che esiste un limite di reddito per accedere al congedo parentale retribuito al 30%. Liliana invece dovette fare una scelta: assegno comunale o statale, non entrambi. Nessuno gliel’aveva spiegato prima.
La circolare INPS n. 72 del 2 aprile 2025 ha aggiornato gli importi per il calcolo delle indennità di maternità e paternità. Per chi è dipendente, si parte da 57,32 euro al giorno, lo stesso importo vale per artigiani e commercianti. Gli agricoli e i coltivatori diretti invece devono considerare un valore più basso, 50,99 euro, mentre per i pescatori autonomi si scende a 31,85 euro. Il calcolo, però, diventa più complesso nel caso di chi lavora in ambito domestico: baby-sitter, colf, badanti. Gli importi giornalieri qui dipendono dalla paga oraria e dal monte ore settimanale.
Liliana, che ogni tanto faceva la baby-sitter, non sapeva che una retribuzione superiore a 11,54 euro l’ora le avrebbe permesso di accedere al massimo dell’indennità giornaliera. Ma come dimostrarlo, con un contratto a ore e pagamenti saltuari? Cosimo, invece, ha verificato subito se il suo reddito fosse inferiore a 19.610,50 euro annui, limite che dà diritto al 30% del congedo parentale. Per fortuna rientrava, ma non senza dubbi e ricerche.
Uno degli aspetti più delicati riguarda l’assegno di maternità: comunale o statale, non si possono avere entrambi. Liliana, disoccupata al momento della nascita, ha potuto chiedere l’assegno del Comune: 2.037 euro in cinque mesi, ma solo perché il loro ISEE era sotto i 20.382,90 euro. Se l’avessero superato anche di poco, avrebbero perso tutto. In alternativa c’era l’assegno statale, pensato per chi ha contratti precari o a termine, più alto (2.508,04 euro una tantum) ma accessibile solo in certi casi.
Tutte le domande si inviano tramite portale INPS, con SPID, CIE o CNS, oppure – per quello comunale – anche dal proprio Comune. Ma anche con i giusti strumenti, le difficoltà restano. Il sito che rallenta, i documenti da reperire, le scadenze da rispettare. Alla fine, Liliana e Cosimo si sono affidati a un patronato. Non per mancanza di capacità, ma perché ogni errore poteva costare caro.
Quante altre famiglie, come loro, si trovano ogni anno a dover scegliere tra tutele senza sapere davvero cosa comportano? Forse è il momento di parlare di questi diritti come si parla delle cose importanti della vita: con parole semplici, ma con tutta la serietà che meritano.
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