Le nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti alla Cina sono più dure di quanto si potesse immaginare. Secondo Morgan Stanley, lo shock economico che ne deriverà supererà di gran lunga quello vissuto durante la guerra commerciale del 2018-2019. Le ripercussioni potrebbero coinvolgere non solo la Cina, ma l’intera economia globale.
Da settimane si parlava di un possibile giro di vite commerciale, ma pochi si aspettavano un intervento di tale portata. I segnali c’erano tutti: tensioni diplomatiche in aumento, pressioni interne per un cambio di rotta economica, e un contesto internazionale che si fa ogni giorno più instabile. Quando la Casa Bianca ha confermato l’aumento delle tariffe sulle importazioni dalla Cina, l’effetto è stato immediato.

Le borse asiatiche hanno reagito con cali netti, lo yuan ha perso valore e le aziende esportatrici hanno cominciato a fare i conti con un quadro più complicato. In mezzo a tutto questo, spiccano le analisi di Morgan Stanley e Citigroup: ciò che sta accadendo ora è più impattante di quanto vissuto tra il 2018 e il 2019. Le nuove tariffe USA contro la Cina rappresentano un salto qualitativo, non solo quantitativo, nel modo di condurre una guerra commerciale.
Un livello tariffario mai visto prima
Secondo Bloomberg, le tariffe imposte dagli Stati Uniti sui prodotti cinesi sono state portate ad almeno il 54%, un livello mai raggiunto neppure nei momenti più tesi della precedente disputa commerciale. Morgan Stanley afferma che l’effetto di queste misure sarà “significativamente più forte” rispetto al biennio 2018-19. Non si tratta solo di un aumento numerico: è il contesto a fare la differenza. Oggi la Cina si trova già in una fase di rallentamento economico, e un colpo di questo tipo potrebbe peggiorare la situazione.

Citigroup ha stimato che l’impatto potrebbe ridurre di 2,4 punti percentuali la crescita del PIL cinese nel 2025. Le esportazioni verso gli Stati Uniti, un tempo motore trainante dell’economia cinese, diventano improvvisamente un punto debole. La banca d’investimento prevede che l’effetto cumulativo porterà il tasso tariffario effettivo al 22%, contro il 7,5% medio del 2019. Questa escalation colpisce le catene di approvvigionamento globali, che vedono nella Cina un nodo cruciale. Se Pechino dovesse reagire con dazi di ritorsione o restrizioni su materie prime strategiche, il commercio globale potrebbe rallentare. La situazione genera incertezza sui mercati e riduce la fiducia tra le imprese.
Una guerra commerciale con effetti globali
Il governo cinese, come riportato da The Independent, ha già annunciato che valuterà “contromisure necessarie“, alimentando i timori di una nuova guerra commerciale. Le aziende americane con forte esposizione al mercato cinese, come Apple e Tesla, potrebbero subirne le conseguenze. L’incertezza pesa anche sui mercati finanziari globali: MarketWatch segnala un aumento della volatilità e una crescente fuga verso beni rifugio come l’oro.
Le relazioni economiche tra USA e Cina non sono solo una questione bilaterale: influenzano prezzi, scambi, occupazione e inflazione a livello globale. Le tariffe più alte significano costi maggiori per le aziende e, quindi, prodotti più cari per i consumatori. Un rischio che si traduce in un freno alla crescita e in nuove tensioni sociali, soprattutto nei paesi colpiti da inflazione. Secondo Seeking Alpha, l’effetto combinato potrebbe protrarsi per due anni, con ripercussioni anche sull’export europeo legato alla produzione cinese. Il nuovo protezionismo USA sta ridisegnando gli equilibri economici globali, con conseguenze difficili da prevedere.