Dopo un 2024 segnato da forti oscillazioni, il 2025 si apre con un nuovo scenario per il mercato petrolifero: secondo JPMorgan, i prezzi rimarranno depressi per tutto l’anno. Una previsione che arriva mentre l’OPEC+ rilancia la produzione e il timore di una recessione globale continua a pesare sulla domanda.
Il recente crollo dei prezzi del petrolio ha colto molti di sorpresa. Dopo settimane di instabilità e segnali crescenti di nervosismo nei mercati energetici, la quotazione del WTI è scesa fino a 61,99 $ al barile, in calo del 7,41%. Il tutto è accaduto nella stessa settimana in cui otto Paesi dell’OPEC+ hanno annunciato un aumento dell’output di 411.000 barili al giorno, contribuendo a un contesto di surplus di offerta che già preoccupava gli operatori.

A peggiorare ulteriormente il quadro è arrivato il ritorno di Donald Trump sulla scena politica, con politiche esplicitamente mirate a ridurre i costi dell’energia, intensificando così la pressione ribassista sul settore petrolifero e alimentando un clima di maggiore incertezza tra investitori e produttori.
L’analisi di JPMorgan e Goldman Sachs: petrolio debole per tutto il 2025
Secondo un report pubblicato da JPMorgan, il Brent potrebbe scendere sotto i 70 $ entro fine anno, spinto da un surplus strutturale di 1,2 milioni di barili al giorno e da una domanda in rallentamento, soprattutto in Asia. Anche Goldman Sachs, come riportato da EnergiaOltre, ha rivisto al ribasso le sue previsioni: Brent a 69 $ in media e WTI a 66 $, citando un mix di domanda più debole e aumento dell’output da parte di produttori non OPEC.

La percezione che l’OPEC+ stia perdendo il controllo del mercato è rafforzata dall’ultimo movimento coordinato. L’aumento della produzione, pensato per contrastare la perdita di quote di mercato, ha ottenuto l’effetto opposto, destabilizzando ulteriormente i prezzi del petrolio. In questo contesto, gli investitori guardano con crescente cautela alle società energetiche.
Domanda debole, surplus in crescita e rischio recessione
Uno dei fattori chiave che pesa sull’equilibrio del mercato è il calo delle aspettative di crescita globale, alimentato dalle recenti tariffe annunciate dagli Stati Uniti. Secondo il Wall Street Journal, le nuove politiche commerciali di Trump hanno aumentato il rischio di recessione, contribuendo a deprimere la fiducia degli operatori e a rallentare la domanda di greggio.
Il sentiment negativo è aggravato dall’incertezza geopolitica: le tensioni tra Cina e Stati Uniti, i conflitti in Medio Oriente e la volatilità delle valute emergenti rendono difficile qualsiasi previsione ottimista. In questo quadro, molti analisti suggeriscono che il petrolio possa restare sotto pressione per tutto l’anno, con il rischio concreto che si stabilizzi ben al di sotto della soglia dei 70 $ al barile.
Anche le aspettative speculative sono cambiate: secondo i dati di Boereport, i fondi speculativi stanno riducendo le posizioni rialziste sul petrolio, segnale che la visione ribassista sta prendendo piede anche tra gli operatori professionali. La prospettiva di un mercato in surplus costante, unita a una crescita anemica della domanda, lascia poco spazio a rimbalzi sostenuti nel breve periodo.