Le nuove tariffe volute da Donald Trump stanno creando più problemi del previsto. Con mercati finanziari sotto pressione e segnali economici sempre più instabili, gli analisti parlano di un rischio concreto di recessione. I dazi non colpiscono solo i partner commerciali, ma pesano anche sulle tasche degli americani e sul futuro della crescita globale.
Sembra sempre che la politica economica, soprattutto quella legata ai commerci internazionali, sia qualcosa di lontano, distante, quasi tecnico. Ma basta un cambiamento di direzione, una decisione presa nei piani alti del potere, per innescare una reazione a catena che arriva dritta alla vita quotidiana. Il prezzo della spesa che aumenta, il tasso del mutuo che si impenna, le aziende che tagliano, la fiducia che cala. Succede lentamente, quasi in silenzio, ma succede. E quando se ne iniziano a vedere gli effetti, spesso è già troppo tardi per rimediare in modo indolore. In questi giorni, diversi osservatori si stanno domandando se non sia proprio questo il caso degli Stati Uniti.

Le nuove misure protezionistiche di Trump, annunciate con toni trionfali, stanno invece facendo suonare campanelli d’allarme in molte sedi economiche. Non si tratta più solo di teoria: le ripercussioni sui mercati finanziari, sull’occupazione e sui consumatori iniziano ad assumere contorni concreti. E le reazioni non si sono fatte attendere.
L’effetto a catena delle tariffe sui mercati
L’introduzione di dazi su centinaia di miliardi di dollari di importazioni da Cina, Unione Europea e Giappone ha provocato scossoni immediati a Wall Street. Secondo MarketWatch, il Dow Jones ha perso il 3,7% in un solo giorno, mentre il Nasdaq ha registrato un crollo del 5,6%. Il settore bancario è stato particolarmente colpito: l’indice KBW Nasdaq Bank ha segnato un -7,3%, con titoli come Bank of America e Wells Fargo in forte calo. Gli investitori temono che l’aumento dei costi e la riduzione degli scambi internazionali compromettano i margini aziendali e la stabilità finanziaria.

Ma non sono solo i titoli azionari a soffrire. Anche l’economia reale comincia a sentire il peso dei dazi. Le imprese che dipendono da componenti importate vedono aumentare i costi di produzione, che si traducono in prezzi più alti per i consumatori. Questo alimenta l’inflazione e spinge la Federal Reserve verso politiche più restrittive. Il risultato? Mutui più cari, prestiti più difficili da ottenere, consumi in calo. Un meccanismo che secondo Barron’s potrebbe portare a un “rallentamento significativo dell’economia entro pochi trimestri”.
Gli analisti lanciano l’allarme recessione
Secondo un rapporto di Goldman Sachs, la probabilità che gli Stati Uniti entrino in recessione nei prossimi 12 mesi è salita al 35%. Anche Barclays ha definito il contesto attuale “ad alto rischio”, segnalando che le tensioni commerciali si stanno estendendo oltre le intenzioni iniziali. Le contromisure dei partner colpiti — come l’aumento delle proprie tariffe su beni americani — rischiano di colpire settori chiave come l’automotive e l’agroalimentare, aumentando disoccupazione e incertezza.
Secondo The Independent, la strategia tariffaria manca di coerenza: “Le tariffe sono nate come leva negoziale, ma rischiano di diventare un boomerang”. Intanto, la fiducia dei consumatori vacilla. Gli ultimi dati del Conference Boardindicano un calo dell’indice di fiducia, e quando le famiglie iniziano a posticipare spese o investimenti per timore del futuro, il rallentamento economico non è più solo una previsione. È un rischio reale.