Mal di schiena e pensione anticipata: tutto quello che non ti hanno mai detto. Il dolore può limitarti sul lavoro, ma la legge non sempre lo riconosce.
Se soffri di ernia del disco o sciatalgia, potresti pensare di avere diritto alla pensione anticipata. Ma le condizioni sono più complesse di quanto sembri. Qui entriamo nel vivo, con esempi reali, spiegazioni chiare e tutte le sfumature che servono per orientarsi davvero.

Lo facciamo con due nomi di fantasia.
Quando si ha davvero diritto alla pensione anticipata per problemi alla schiena
Pippo ha 58 anni e lavora come magazziniere in un centro logistico. Da anni convive con un’ernia del disco, che col tempo si è aggravata. Ogni giorno è una sfida tra il dolore alla schiena e la fatica fisica del lavoro. Elisa, 55 anni, è insegnante di scuola primaria. La sua sciatalgia cronica la costringe spesso a letto per giorni interi, rendendo impossibile anche restare in piedi per più di mezz’ora. Entrambi si chiedono: è possibile andare in pensione anticipata per problemi alla schiena ?

La risposta, purtroppo, non è semplice. Anche se i dolori sono reali, la burocrazia spesso non li riconosce come abbastanza gravi per ottenere dei benefici previdenziali. Il mal di schiena è comune, ma non sempre considerato invalidante dalla legge.
In Italia esistono criteri molto precisi per accedere alla pensione anticipata per motivi di salute. Il primo è avere una percentuale di invalidità civile pari o superiore all’80%. In questo caso, se si sono versati almeno 20 anni di contributi e si ha 61 anni (per gli uomini) o 56 anni (per le donne), si può andare in pensione prima.
Il limite invisibile del periodo di comporto
Esiste anche una possibilità per chi ha un’invalidità pari almeno al 74%: si può accedere a forme di pensione anticipata come l’Ape sociale, ma solo se si hanno 35 o 40 anni di contributi, in base alla misura. È proprio questo il problema: la maggior parte delle patologie della schiena, come ernia del disco, sciatalgia, scoliosi o artrosi lombare, raramente raggiunge soglie così alte. Pippo, ad esempio, ha avuto un riconoscimento del 30%. Elisa ha ottenuto il 75%, ma le mancano ancora alcuni anni di contributi.
Nel frattempo, l’unica alternativa resta l’assenza per malattia. Ma attenzione: ogni lavoratore ha un periodo di comporto, cioè un limite massimo di giorni di malattia previsti dal proprio contratto. Se si superano, l’azienda può procedere al licenziamento per superamento del comporto, anche se si è regolarmente in cura. E questo accade spesso a chi soffre di dolori cronici alla schiena, che obbligano ad assenze frequenti e prolungate.
Il punto è che, anche se il dolore è reale e limitante, spesso non è “abbastanza” per ottenere il riconoscimento che davvero servirebbe a cambiare la vita lavorativa.