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Categorie: News

Un datore di lavoro ti ha lasciato inattivo? Forse ti deve dei soldi

Pubblicato da
Gerardo Marciano

Anselmo si sente tradito dal suo datore di lavoro: la sua cassa integrazione era davvero necessaria o c’è stato un abuso? Un amico gli mostra una sentenza che potrebbe ribaltare tutto. E se il tuo caso fosse simile al suo?

Anselmo non riesce a darsi pace. Lavorava da anni nella stessa azienda, con dedizione e professionalità, fino a quando un giorno si è trovato a casa, senza lavoro, per una cassa integrazione che gli sembrava più un espediente che una reale necessità aziendale.

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Nessuno gli aveva spiegato davvero il motivo, nessuna comunicazione chiara, solo un periodo di inattività forzata che gli pesava sia economicamente che psicologicamente.

Un giorno, mentre sfoga la sua frustrazione con un amico avvocato, questi gli mostra una recente sentenza della Cassazione (Ordinanza n. 10267 del 16 aprile 2024) che potrebbe cambiare il suo destino. Anselmo legge con attenzione e capisce che forse, dietro la sua situazione, c’è qualcosa di più di una semplice crisi aziendale. Forse il suo datore di lavoro non ha rispettato le regole. Forse, come stabilisce la Suprema Corte, chi viene messo in cassa integrazione in modo illegittimo ha diritto a un risarcimento.

Il datore di lavoro deve sempre rispettare la legge: cosa dice la Cassazione

La Cassa Integrazione Guadagni (CIG) è uno strumento pensato per aiutare le aziende in difficoltà e garantire un sostegno economico ai lavoratori sospesi temporaneamente. Tuttavia, l’uso improprio di questo strumento può trasformarsi in un vero e proprio abuso.

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Ed è proprio quello che la Cassazione ha chiarito nella sentenza n. 10267 del 16 aprile 2024, sottolineando che il datore di lavoro non può decidere arbitrariamente chi mettere in cassa integrazione senza rispettare i criteri di legge.

Nel caso analizzato dalla Suprema Corte, un’azienda aveva utilizzato la CIG facendo riferimento a criteri errati nella selezione dei dipendenti da sospendere. Secondo la legge, devono essere applicati meccanismi di rotazione tra i lavoratori, evitando discriminazioni e scelte arbitrarie. In questo caso, invece, la selezione era stata fatta senza trasparenza, penalizzando alcuni lavoratori rispetto ad altri. La Cassazione ha quindi riconosciuto il diritto al risarcimento per danno professionale, stabilendo che l’inattività forzata può causare una perdita di competenze e un indebolimento del valore professionale del lavoratore.

Il danno alla professionalità esiste: ecco cosa puoi fare se sei nella stessa situazione

Uno degli aspetti più importanti della sentenza riguarda il danno alla professionalità. La Corte ha chiarito che restare inattivi per lunghi periodi, specialmente quando la sospensione dal lavoro è illegittima, può comportare una perdita di competenze e una difficoltà maggiore nel reinserirsi nel mercato del lavoro. Questo danno non è solo astratto, ma ha una rilevanza economica concreta, tanto che la Corte d’Appello di Bologna ha riconosciuto un risarcimento pari al 30% dello stipendio mensile per tutto il periodo di illegittima sospensione.

Questa decisione rafforza i diritti dei lavoratori e stabilisce un precedente importante: se la tua azienda ti ha lasciato inattivo senza giustificazione, potresti avere diritto a un risarcimento. La responsabilità del datore di lavoro in questi casi è contrattuale, e non si limita alla semplice sospensione, ma include anche la tutela della dignità professionale del dipendente.

E Anselmo? Ora sa che ha delle possibilità. Grazie alla sentenza della Cassazione, può far valere i suoi diritti e chiedere giustizia. Quanti altri lavoratori potrebbero trovarsi nella sua stessa situazione senza saperlo?

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