Un lavoratore in malattia può svolgere un altro lavoro senza rischiare il licenziamento? La Cassazione ha dato una risposta sorprendente che potrebbe cambiare tutto. Ecco cosa sapere!
Alessandra si è slogata una caviglia e il medico le ha prescritto due settimane di riposo assoluto. Durante questo periodo, ha aiutato la sorella nel suo negozio, stando alla cassa senza affaticarsi.

Nunzia, invece, era in malattia per problemi alla schiena, ma un investigatore privato l’ha ripresa mentre trasportava sacchi della spesa. Roberto, colpito da un infortunio al polso, è stato sorpreso a servire ai tavoli del suo bar. Tre situazioni diverse, ma con una domanda comune: il datore di lavoro può licenziarli per aver svolto attività extralavorative durante l’assenza per malattia?
La risposta non è così scontata e le ultime sentenze della Cassazione aggiungono elementi importanti che ogni lavoratore dovrebbe conoscere. Quando un’attività esterna può essere considerata una violazione? Quali sono i limiti che un dipendente in malattia deve rispettare per non incorrere in sanzioni? Vediamo cosa dice la legge e cosa è successo nei casi di Alessandra, Nunzia e Roberto.
Quando un lavoratore in malattia rischia davvero il licenziamento
La questione del licenziamento durante la malattia è più complessa di quanto sembri. La legge non vieta in modo assoluto di svolgere altre attività mentre si è assenti per infortunio o malattia, ma ci sono paletti ben precisi.

Secondo la Cassazione, un dipendente può essere licenziato solo se l’attività che svolge durante la malattia può compromettere la sua guarigione o dimostrare che sta simulando l’infortunio. Ad esempio, nel caso di Roberto, se servire ai tavoli del suo bar richiedeva l’uso della mano infortunata e poteva rallentare la sua ripresa, il datore di lavoro avrebbe potuto contestargli un comportamento scorretto.
D’altra parte, Alessandra che ha solo gestito la cassa del negozio senza sforzare la caviglia, non ha messo a rischio il suo recupero. Questo significa che, in assenza di prove concrete che dimostrino un impatto negativo sulla salute del lavoratore, il licenziamento potrebbe essere considerato illegittimo.
La Cassazione ha anche stabilito che è il datore di lavoro a dover provare che l’attività svolta ha effettivamente ritardato la guarigione del dipendente. Non basta un semplice sospetto o un video investigativo per giustificare un provvedimento disciplinare così grave.
Quali sono i diritti dei lavoratori e i doveri dei datori di lavoro
Le sentenze recenti offrono un’importante tutela ai dipendenti in malattia, ma stabiliscono anche delle regole chiare. Un lavoratore non può sentirsi automaticamente al sicuro solo perché svolge un’attività “leggera” durante il periodo di assenza dal lavoro.
Nel caso di Nunzia, il fatto che fosse stata ripresa mentre trasportava sacchi della spesa non significava necessariamente che stesse violando le prescrizioni mediche. Tuttavia, se il suo problema alla schiena prevedeva il riposo assoluto e le era stato vietato di sollevare pesi, il datore di lavoro avrebbe potuto contestarle un comportamento incompatibile con la malattia.
Ogni caso deve essere valutato singolarmente, senza automatismi. Un’indagine superficiale o una semplice foto non bastano a giustificare un licenziamento. Il lavoratore ha diritto a difendersi, dimostrando che l’attività svolta non ha influito sulla sua guarigione. Allo stesso tempo, i datori di lavoro devono rispettare l’onere della prova, fornendo elementi concreti per dimostrare che l’attività contestata ha avuto un impatto reale sulla salute del dipendente.