Alessandra e Samuele, due lavoratori come tanti, si sono trovati a fronteggiare una situazione inaspettata: durante un periodo di malattia, l’azienda ha iniziato a inviare visite fiscali con una frequenza sorprendente.
Ma fino a che punto è legittimo questo comportamento? Quando l’esercizio di un diritto si trasforma in una forma di pressione indebita? Scopri come riconoscere e difendersi da possibili abusi legati alle visite fiscali ripetute.

Alessandra, impiegata in un’azienda tessile, si è assentata dal lavoro per una bronchite acuta. Durante le due settimane di malattia, ha ricevuto ben cinque visite fiscali. Samuele, operatore in una fabbrica metalmeccanica, dopo un intervento chirurgico, è stato sottoposto a controlli quotidiani per una settimana intera. Entrambi si sono chiesti: è normale tutto questo? Le visite fiscali sono strumenti legittimi per verificare lo stato di salute del dipendente, ma quando diventano eccessive possono trasformarsi in una forma di pressione psicologica. È fondamentale comprendere dove si trova il confine tra legittimità e abuso.
Il diritto del datore di lavoro e i limiti del buon senso
Il datore di lavoro ha il diritto di richiedere visite fiscali per verificare l’effettivo stato di salute del dipendente assente alla malattia. Tuttavia, la legge non esclude un numero massimo di controlli che possono essere effettuati durante il periodo della malattia. Questo significa che, teoricamente, le visite possono essere richieste anche quotidianamente.

Tuttavia, l’esercizio di questo diritto deve avvenire nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede. Richiedere visite fiscali in modo ossessivo e ingiustificato può configurare un comportamento vessatorio nei confronti del lavoratore.
Ad esempio, la Corte di Cassazione, con un’ordinanza del 2019, ha affermato che le condotte datoriali ripetute nel tempo e volte alla mortificazione del dipendente possono essere fonte di responsabilità risarcitoria, anche se non integrano la specie del mobbing.
Quando le visite fiscali diventano mobbing
Il mobbing si configura quando un lavoratore subisce una serie di comportamenti ostili, sistematici e prolungati nel tempo, con l’intento di emarginarlo o danneggiarlo. L’invio ripetuto e ingiustificato di visite fiscali può rientrare in questa categoria, soprattutto se accompagnato da altri atteggiamenti vessatori.
Ad esempio, la Corte d’Appello di Bari ha riconosciuto la sussistenza del mobbing nel caso di un insegnante sottoposto a 14 visite fiscali in tre mesi, ritenendo tali controlli una forma di prepotenza e umiliazione finalizzata all’eliminazione del docente. È importante sottolineare che, per configurare il mobbing, devono sussistere elementi come la continuità delle azioni vessatorie, l’intento persecutorio e un danno alla salute psicofisica del lavoratore.
Come difendersi da un uso improprio delle visite fiscali
Se un lavoratore ritiene di essere vittima di un abuso nell’utilizzo delle visite fiscali , può adottare alcune strategie per tutelarsi:
- Raccogliere provare: Conservare tutta la documentazione relativa alle visite fiscali ricevute, inclusi i verbali dei medici e le comunicazioni aziendali.
- Segnalare la situazione: Informare il rappresentante sindacale o il responsabile delle risorse umane dell’azienda riguardo al comportamento ritenuto vessatorio.
- Ricorrere alle vie legali: Se le azioni precedenti non producono risultati, valutare la possibilità di intraprendere un’azione legale per ottenere il riconoscimento del mobbing e il risarcimento dei danni subiti.
È fondamentale che il lavoratore sia consapevole dei propri diritti e delle modalità per difenderli, evitando che strumenti legittimi come le visite fiscali vengano utilizzati in modo improprio per esercitare pressioni indebite.